mercoledì 26 febbraio 2014

Un "mito" per dei "cenci" senza ricetta

 
Domenica scorsa era stato indetto l'annuale Pranzo di Carnevale in famiglia.
Mamma: "Vai a prendere Il Cucchiaio d'Argento vecchio (n.d.r. ne abbiamo due edizioni).
Giulietta: (incredula) "La ricetta dei "cenci" è lì"?
Ottengo un laconico, quanto inaspettato "Si"
Azzardo un timido e sorpreso "Non lo sapevo..."
Prelevo dalla libreria il "sacro testo", scorro l'indice, lo apro alla pagina giusta e lo deposito su un piano della cucina.
La vedo avvicinarsi distrattamente al volume e scatta l'ordine: "Dov'è la farina"?
Da esperta "assistente ferrista", l'avevo già preparata sul tavolo fin dalla sera prima.
"E' lì" ed accompagno queste due sillabe con un timido accenno dello sguardo. So di trovarmi in un frangente cruciale della vita familiare. Tutte le preparazioni del pranzi "ufficiali", lo sono. Momenti che non ammettono  parole inutili.
"Dove sono le uova"?
La domanda, apparentemente innocua, nasconde una vecchia polemica fondata sull'irritazione che le procura l'idea che modernamente si usi distinguerle in piccole-medie-grandi.
Celando a mala pena lo stress, rispondo: "Sono quelle".
"Il burro...ammorbidiscilo".
E qui ammetto la mia defaiance, non ci avevo pensato.... Ma non era lei che doveva pensare a fare i cenci?
Inserisco per qualche momento il panetto di burro nel microonde.
"La fecola, c'è"?
"E' qui". Estraggo dal pensile due scatole: una quasi al termine, l'altra nuova.
La vedo afferrare con decisione una grossa ciotola in plastica e versarvi una quantità X (abbondante) di farina. Ad essa aggiunge tutto il contenuto del pacchetto di fecola aperto, oltre ad una buona sventagliata di quello del nuovo.
Apre il panetto di burro, debitamente e con maestria (modestia permettendo ;-) da me ammorbidito, e ne taglia alcuni tocchi (quantità Y).
Con i polpastrelli lo mischia alla farina. Quasi il "briciolame" della frolla ma il quantitativo di burro è assai inferiore a quello necessario per quella preparazione.
- "Zucchero" - ordina "il chirurgo".
Ed io, da umile e silenziosa "passaferri", apro la scatola Tupper che in casa nostra, da anni, contiene lo zucchero semolato.
Sventaglia a casaccio anche quest'ultimo ingrediente sull'impasto. Una misura Z che non saprei quantificare ma non è grande (del resto le chiacchere/bugie/frappole/cenci, non sono molto dolci....); poi "il chirurgo" preleva un "pizzicone" abbondante di sale e, a seguire, apre tre uova aggiungendo l'intero contenuto di due ed il solo tuorlo del terzo.
Impasta, con sicurezza e decisione, utilizzando i guanti in lattice (da chirurgo, appunto ;-)
- "Vino bianco.....marsala", ordina.
E quanto chiesto compare magicamente sul tavolo di lavoro tra le sue recriminazioni fatte di "Io non so più dove sono le cose" (Sappiatelo: non è vero, tutta sceneggiata ;-)
Continua ad impastare. Ne esce un panetto vellutato, di colore giallo paglierino, molto morbido ma non appiccicoso.
Lo copre con un panno  leggermente inumidito e mi spedisce al Carrefour a comprare lo zucchero a velo del quale, nel frattempo, avevamo scoperto di essere sfornite.
Rapida "fuga" in motorino e al ritorno comincio a scaldare l'olio mentre lei, con l'aiuto  del mattarello, stende una prima parte del panetto, per poi impugnare la rotella e tagliare i "cenci".,
Da sempre l'incarico di provvedere alla frittura di questi dolci di cìCarnevale è mio ma non crediate che anche questa attività, non dia luogo a battibecchi: "il chirurgo"  sostiene, infatti, che io sia troppo lenta e devo difendere la pentola per evitare che nell'olio profondo cadano un numero eccessivo di cenci ormai tagliati. Il suo obiettivo sarebbe quello di liberare il piano di lavoro il prima possibile per tagliarne altri.
Comunque arriviamo in fondo al lavoro con il sorriso: troneggia sul tavolo un bellissimo vassoio colmo di "cenci"
Lei lo osserva e mi interroga: "Saranno troppi"?
Mi astengo dal farle notare il quantitativo (che non conosco) di farina utilizzata...
.
Ora - sappiatelo - per capire ed avere una traccia del lavoro che ho visto compiersi dinanzi ai miei occhi, ho dato una scorsa alla ricetta contenuta sulla pagina de Il Cucchiaio d'Argento....Non so quale parentela vi sia tra il lavoro visto in pratica e la ricetta letta in teoria, perché quest'ultima non indica, tra gli ingredienti, la fecola e parla di 500 g di farina, mentre "il chirurgo" ne ha usata un tot, indecifrabile data la velocità con la quale ha operato, aggiungendo un quantitativo non meglio identificato di fecola, tanto che, anziché un uovo ed un tuorlo, ne ha utilizzate due...e un tuorlo.
Non parliamo, poi, del marsala che ho visto scorrere a fiumi (almeno, questa è stata la mia sensazione) mentre nel testo scritto non ve n'è cenno alcuno.
Allora?
Allora, solo quando avrò la possibilità di provare a fare i cenci con le mie mani, vi saprò dire le quantità dei vari ingredienti.
Per adesso seguite voi, che lo potete fare, la traccia che vi ho dato. 
Il "cencio" resta "regno" di mia madre la quale, oltre a non voler cedere il know how, si trova nella condizione di non poterlo cedere perché..."si fa a occhio"!
Il risultato è ottimo, come ci si arrivi è frutto di quell'esperienza che tutti gli amanti della cucina appartenenti alla mia generazione non hanno perché siamo abituati a pesare tutto.... e questo è proprio ciò che "il chirurgo" ci contesta!

n.d.r.
1) Ho raccontato questo interno di vita familiare affinché ne resti traccia indelebile: un giorno non lo avrò più.
2) Il minimo che ci guadagno è l'essermi segnata, a futura memoria, gli ingredienti ;-).
2) Alla odierna ed apparentemente ingenua domanda: "L'altro giorno, quanta farina avrai usato"?
la risposta è stata: "Che ne so...ho fatto a cucchiai poi, dopo un po', mi sono stufata e ho detto basta" :-D
 
...Un mito!
 
la cedo in cambio di una più docile e dolce ;-)










mercoledì 19 febbraio 2014

Strudel di zucca alla ligure con salsa ai funghi


Metti che un giorno ti chiedano di fare uno strudel salato.
Metti che tu non sappia proprio con cosa farlo
E' così che una sera, scorrendo le pagine  di un bellissimo "libricino" di Sergio Rossi, ho trovato la soluzione al mio problema.
Sergio Rossi è, infatti, un ligure, studioso di storia e cultura del cibo e della cucina, che ha riordinato le ricette raccolte da Emanuele Rossi in una "cuciniera" edita per la prima volta nel 1865.
La data la dice lunga. Accadeva, in allora, quello che sta accadendo adesso. L'unità d'Italia portava le contaminazioni culinarie frutto delle relazioni con  regioni un tempo considerate culturalmente distanti da quelle di appartenenza e qualcuno, in un moto di campanilismo reattivo ma in qualche misura comprensibile ed anche sano, avverte l'esigenza di porre un punto fermo sulle tradizioni della propria terra.
La grande ed attuale attenzione alla cucina regionale, non è forse una reazione alle  contaminazioni conseguenti alla globalizzazione dei nostri tempi?
Nulla di male vi è in entrambe le tendenze: è giusto accogliere il nuovo, come è giusto conoscere e custodire le proprie tradizioni.
L'importante è non ergere barriere negando legittimazione alle novità o tuffandosi nel nuovo con irrisione del passato.
Detto questo, nel "libricino" che raccoglie la "cuciniera" del 1865, con il titolo di "La vera cucina genovese", ho rinvenuto l'antica ricetta di quello che nel testo citato porta il  nome di "polpettone di zucca" anche se in oggi conosciuto dai genovesi come la "torta di zucca". Insomma, un piatto della tradizione.
Gli ingredienti ed il procedimento indicato mi sono parsi idonei ad una utilizzazione come ripieno dello strudel, piatto storico della cucina del nord est italiano e non solo, proposto da Mari del blog Lasagnapazza, per la sfida MT Challenge Febbraio 2014
Nella versione della "cuciniera genovese", il "polpettone", in quanto tale, era privo di un involucro contenitivo e veniva cotto in una sorta di "forno" realizzato tra due teglie poste sotto la brace.
L'evoluzione successiva, in "torta", vede l'impasto raccolto in un un guscio di pasta sfoglia o frolla così come, in effetti, mi è stato offerto in alcune occasioni a casa di amici genovesi doc. In tal caso, una ricetta moderna in mio possesso non prevede l'uso di uova.
A questo punto mi sono trovata a svolgere alcune considerazioni.
La prima: la ragione della consistente presenza di uova (ben 4) nel "polpettone", era evidentemente dettata dalla mancanza di un "guscio".  
Quando, più avanti nel tempo, quel medesimo composto di zucca e funghi fu inserito nella pasta sfoglia,  la necessità di un ingrediente addensante, venne meno. 
Con ciò mi sono convinta che anche io avrei potuto evitare l'utilizzo delle uova.
Anche la scelta del tipo di cottura è stato frutto di una riflessione.
Le regole MTC di questo mese mi avrebbero consentito, dandone giustificazione, di cuocere in forno anche lo strudel salato sebbene tradizionalmente ne sia prevista la bollitura in acqua.
In questo senso non avrei fatto altro che replicare la "torta" di zucca, dandole solo una forma diversa. 
La cottura in acqua mi è parsa, dunque, la modalità più innovativa e quella che, al tempo stesso, poteva contemperare meglio due diverse tradizioni: quella ligure del polpettone/torta di zucca (senza uova) e quella carsica, dello strudel salato.
Per accompagnare il piatto ho preso spunto da un'idea di Michel Roux.
Anche in questo caso mi sono trovata nella necessità di operare una scelta dettata da alcune considerazioni. Tanto nel polpettone, quanto nella torta, il sapore della zucca sovrasta in maniera determinante l'aroma impresso dai funghi, pertanto sarebbe stato opportuno potenziare quest'ultimo ingrediente.
Scorrendo il manuale "Salse" di Roux, il mio occhio è caduto su una "nage" ai funghi ma se ne avessi seguito i passaggi alla lettera, quella salsina delicatissima proposta dallo chef, non avrebbe avuto alcun risalto.
Ho quindi deciso di frullare il liquido di cottura dei funghi insieme a questi ultimi, anziché filtrarlo eliminandoli.
Ed ecco, allora, la mia proposta per l'MTC febbraio 2014

Strudel di zucca alla ligure con salsa ai funghi

Ingredienti
per la sfoglia dello strudel
150 g farina (io 50 g manitoba e 100 g farina 00)
50 ml acqua (io 70 ml c.a a causa del diverso assorbimento delle farine)
1 cucchiaio olio EVO (io anche qualche goccia in più)
sale
Fare una fontana con la farina e versare l'olio ed il sale.
Cominciare ad amalgamare.
Unire anche l'acqua precedentemente scaldata ma non bollente.
Impastare per qualche minuto sino ad ottenere una pasta morbida da poter stendere.
Coprirla con un  telo o fasciarla nella pellicola e lasciarla a riposare per una mezz'ora.

per il ripieno:
850 g zucca mantovana
200 g champignon
50 g quagliata
timo secco
rosmarino secco
parmigiano
prezzemolo
vino
aglio
sale
pepe

Porre la zucca in forno preriscaldato a 180° C per ammorbidirla e poterla pulire e tagliare a cubetti.
In una padella scaldare un filo d'olio con l'aglio e quindi unire la polpa della zucca.
Stufarla con l'aiuto di una spruzzata di vino e qualche cucchiaiata di acqua  sino ad ottenere una purea aiutandosi con i rebbi di una forchetta.
Portarla a cottura, lasciando che il fondo si asciughi bene e metterla da parte.
In altra padella scaldare altro olio ed uno spicchio d'aglio e quindi unirvi i funghi mondati e tagliati a fettine non troppo sottili.
Quando anche i funghi saranno cotti, insaporire con una manciata di prezzemolo ed unirvi la purea di zucca.
Aromatizzare con timo e rosmarino, aggiustare di sale e pepe, lasciando che il composto si amalgami bene e vanga assorbito anche il liquido di cottura dei funghi.
Far raffreddare ed aggiungere la quagliata.
Mettere un canovaccio pulito (possibilmente lavato con sapone neutro e ben sciacquato), di lino o di cotone, sopra al tavolo. Infarinarlo leggermente ed appoggiarvi l'impasto.
Cominciare ad appiattirlo con le mani e successivamente con un mattarello. Quando la sfoglia comincerà ad essere abbastanza sottile mettere da parte il mattarello, sollevare la sfoglia dal tavolo aiutandosi con le mani e, tenendola con le nocche nella parte sottostante, cominciare a tirarla verso l’esterno facendola girare ogni tanto e ponendo attenzione che non si rompa, sino ad ottenere un quadrato della dimensione di 25 cm per lato (io ho steso sin quasi a 50 cm per lato)
Siccome i bordi saranno rimasti un po’ più spessi, passare con le dita lungo tutta l’estremità della sfoglia tirando la pasta per assottigliarla.
Mettere l'acqua in una pentola di dimensioni idonee ed attenderen l'ebollizione.
Nel frattempo spalmare il composto di zucca e funghi sulla sfoglia lasciando liberi due centimetri dal bordo; spolverare con poco parmigiano grattugiato e cominciare ad arrotolare la sfoglia su se stessa.
Dopo i primi due giri, rivoltare verso l'interno i bordi laterali della sfoglia sfacendoli ricadere sul ripieno e continuare ad arrotolare in modo da formare un  "salamotto" ben chiuso anche ai lati.
Legare le estremità del canovaccio. Fare due giri di spago anche lungo il rotolo.
Giunta ad ebollizione l'acqua, inserire il rotolo nella pentola evitando, per quanto possibile, il contatto con il fondo e far bollire per circa 30/35 min.
A cottura ultimata estrarre l'intero involucro, liberarlo dal canovaccio e tagliarlo a fette oblique dello spessore di circa un centimetro.

per la salsa funghi e rafano 
250 g champignon
250 ml court buillon*
50 g scalogno
50 ml panna
8 g rafano cremoso
sale pepe
timo

per il court bouillon
150 g carote
1 porro
50 g sedano
25 g finocchio
70 g scalogni
50 g cipolle
1 spicchio di aglio
1 mazzetto aromatico
125 ml vino bianco secco
pepe

Court bouillon: Affettare sottilmente tutte le verdure e porle in una casseruola insieme al vino facendo bollire per 45 minuti su fiamma moderata. 10 minuti prima di spegnere il fuoco, aggiungere anche i grani di pepe raccolti in una garza.
Filtrare con un colino a maglie strette. Aggiungere un cucchiaio di aceto di vino bianco.
A questo punto è possibile preparare la salsa.
Affettare finemente i funghi e versarli in una casseruola insieme agli scalogni e al court bouillon.
Portare ad ebollizione su fuoco medio sino a che il liquido si sia ridotto alla metà.
Aggiungere la panna e cuocere ancora per 5 minuti.
Frullare l'intero contenuto della casseruola, aggiungendo anche il rafano.
Servire lo strudel accompagnato da questa salsina semidensa.

n.d.r.
a) la sfoglia: si tratta di un impasto molto elastico che ho potuto tirare molto bene con ampia soddisfazione
b) nella pratica si ottiene un grosso raviolo aperto. Un qualcosa che, nella sostanza, potrebbe essere utilizzato sia quale primo piatto, sia quale apertura di un menù a piatto unico, se utilizzato in quantità inferiori.
c) l'antica ricetta del polpettone oltre alle uova che, come ho detto, ho eliminato per ottenere una maggiore cremosità della farcia, prevede anche l'uso della prescinseua ,termine genovese che indica una quagliata leggermente acidula dal sapore a metà tra un formaggio cremoso e lo yogurt. E' questo l'ingrediente che mi ha determinata alla scelta per il ripieno dello strudel nel quale, peraltro, ho limitato in maniera drastica anche l'uso del parmigiano perché, a mio giudizio, non  avrebbe fatto altro che soverchiare una volta di più, il sapore dei funghi;
d) per bollire lo strudel ho utilizzato una pesciera che, disponendo anche di una gratella inserita all'interno ed utile per estrarre il pesce senza romperlo, mi ha permesso di evitare il contatto tra il "salamotto" ed il fondo della pentola.
c) la salsa è solo ispirata alla nage ai funghi di Roux e l'ingrediente che in questo caso mi ha convinta, è il rafano. Oltre ad avere piacevolmente scoperto la perfetta armonia tra funghi e rafano, c'è da dire che il sapore piccantino di quest'ultimo è in grado di equilibrare in maniera degna quello dolce della zucca.
Ed anche questa volta partecipo all'MTC febbraio 2014


gli sfidanti









mercoledì 12 febbraio 2014

Scatole quadrate per il pane ciabatta di P. Hollywood


Ho decretato: dopo il pane toscano, questo è il pane che mi piace di più.
Intendiamoci, tutto il pane fresco è buonissimo ma quando te lo fai con le tue manine diventa insuperabile.
E deve essere davvero così se mio nipote se n'è mangiato tre etti in un solo pasto, dopo aver già ingerito 120 grammi di spaghetti.
Io ed il pane ciabatta siamo diventati amici attraverso il libro "How to bake" di Paul Hollywood, tradotto in italiano con il nome de "La magia del forno".
E' leggendo questo libro che ho pensato di sperimentare la realizzazione del pane ciabatta e alcune settimane dopo mi sono accorta che la ricetta di quello stesso tipo di pane era stata postata dallo Starbooks per recensire "Bread", un libro del medesimo autore anche se cronologicamente posteriore a quello in mio possesso.
Nell'accorgermi che le ricette riportate nei due libri differivano nettamente l'una dall'altra, ho avuto anche un moto di soddisfazione perché l'approccio all'impasto, secondo le indicazioni di "How to bake", mi aveva indotto a pensare che il procedimento consigliato fosse eccessivamente semplice: mi sarebbe sembrata opportuna almeno una lievitazione in più.
Leggendo il procedimento riportato in "Bread" ho avuto un tuffo al cuore: l'autore (o chi per lui) aveva cambiato impostazione ed ora quell'impasto si avvicinava maggiormente a quello che, per mera ed inesperta intuizione, mi sarei aspettata utile a dar vita ad un pane ciabatta con gli alveoli.
La particolarità del procedimento è data sia dall'utilizzo della sola farina di forza, manitoba che dall'alta idratazione che rende l'impasto non facilmente idoneo ad una lavorazione manuale.
A dire la verità non è richiesto un particolare impegno nell'impastare con le mani anzi, come ricordato dall'autore, la forte idratazione suggerisce caldamente l'uso della planetaria. 
Resta il fatto che per quei pochissimi passaggi nei quali è necessario toccare la massa con le mani, l'approccio non sia dei più scontati o, quantomeno, dei più usuali. Insomma è un pane che va fatto lievitare a lungo e maneggiato il meno possibile per limitare i danni conseguenti alla fuoriuscita dell'aria incorporata con la lievitazione.
Ciò che mi ha messo in crisi è stata la richiesta di un contenitore in plastica con coperchio, di forma quadrata, delle dimensione di 12 cm per lato, 12 cm in altezza e una capacità di 3 litri.
Negli scaffali della mia cucina non mancano contenitori in plastica ma la loro forma o è tonda o è rettangolare. Francamente, la forma quadrata mancava e ho dovuto procurarmela con una ricerca in città. Non avendo avuto il coraggio di entrare nei negozi munita di un metro da geometra per misurare lati, altezze e volumi, così a occhio, ho finito per portarmi a casa una scatola in plastica con coperchio che si è rivelata avere 13-14 cm di lato ed 11 cm in altezza. Contiene acqua per tre litri e mezzo.
Non so che farci: quella ho e quella ho usato e continuerò ad usare sin quando il caso farà varcare la porta ad un contenitore delle dimensioni che vuole Paul Hollywood!
La plastica è assolutamente necessaria per facilitare il trasferimento dell'impasto  dal contenitore al piano di lavoro.
La forma quadrata è richiesta per modellare più facilmente il pane secondo la sua tipica forma "a ciabatta";  la mia primissima prova l'ho fatta secondo le indicazioni di "How to bake"/"La magia del forno", ed utilizzando un contenitore tondo. Ho effettivamente avuto difficoltà.
Nella seconda esperienza, svolta seguendo le indicazioni di "Bread", benché mi fossi "aggiudicata" una scatola quadrata, ho realizzato il pane con l'uso di metà farina 0 e metà integrale ma, oltre ad aver riscontrato una maggiore difficoltà nel maneggiare il panetto perché troppo morbido, non ho ottenuto l'alveolatura desiderata.
Questa terza prova è stata nettamente la migliore.
In conclusione, se si prendono tutti gli accorgimenti indicati dall'autore e si è in possesso di una planetaria, la lavorazione non è poi così difficile; ciò di cui mi lamento un pochino è la quantità di tempo richiesto per ottenere un prodotto buono....ma il prodotto è davvero più che soddisfacente.
Persino la quantità di sale indicata in ricetta è perfetta perché assaggiando una fetta di pane, può venire in mente di aggiungerne un pochino ma rivolgendo la mente al sapore della ciabatta, ci si avvede nell'immediatezza che la sapidità è quella giusta. Né più, né meno!

E ora vi mostro le fotografie dei miei due esperimenti di pane ciabatta di P. Hollywood. secondo la ricetta di "Bread" recensito in Starbooks  e sperimentato da Ale Only Kitchen

 Con farina 0 ed integrale


 Con farina manitoba
 
 
Pane ciabatta di P. Hollywood
 
Ingredienti:
400 g farina bianca forte (tipo Manitoba)
1 bustina  (7 g) lievito di birra secco
300 ml acqua fredda 
2 cucchiai olio EVO 
7 g di sale
semola di grano duro e altra farina per spolverare

Realizzare una biga unendo metà della farina e metà del lievito con metà dell'acqua, dentro ad una ciotola. Miscelare bene con un cucchiaio di legno, sino ad ottenere una pastella densa. Coprire e lasciar lievitare per almeno 6 ore a temperatura ambiente (io nel forno con la luce interna accesa).
Rovesciare l'impasto nella planetaria con la frusta a gancio. Aggiungere il resto della farina,il lievito da una parte ed il sale dall'altra; unire anche l'olio e l'acqua rimanente ed azionare la planetaria per 10-15 minuti. L'impasto si incorderà pur restando morbido. 
Oliare bene un contenitore di plastica quadrato delle dimensioni di 12 cm per lato,12 cm in altezza e la capacità di 3 litri e versarvi l'impasto. 
Oliare anche il coperchio e chiudere il contenitore lasciando lievitare l'impasto sino a che raggiunga il coperchio (ci vorranno 1-2 ore circa).
Spolverare abbondantemente, con un mix di semola e farina, sia il piano di lavoro che una teglia da forno antiaderente oppure rivestire quest'ultima con carta forno.
Rovesciare con delicatezza l'impasto lievitato sulla superficie infarinata e, con l'aiuto di un coltello infarinato, tagliarlo in due parti evitando di sgonfiarlo troppo.
Con delicatezza afferrare le estremità dei due pezzi di impasto e allungarli conferendogli la tipica forma di ciabatta.
Nel far questo sollevare ciascun pane e trasferirlo nella teglia.
Spolverare i pani con il mix di farine.
Mettere la teglia in un ampio sacchetto di plastica, e lasciar lievitare ancora 15 minuti. Nel frattempo scaldare il forno a 220°C.
Infornare i pani e cuocerli per 30 minuti, o finché saranno cresciuti e ben dorati. Trasferire su una gratella e lasciar raffreddare.
 
n.d.r.
a) Nelle due prove di cui alle foto, ho fatto lievitare la biga all'interno del forno con la luce accesa, dentro ad una ciotola coperta con un panno di cotone. 
Ebbene, in entrambi i casi 6 ore si sono rivelate troppo lunghe. La prima volta, dopo 4 ore, vi era già una buona lievitazione e quindi ho proceduto al reimpasto perché altrimenti  avrei dovuto attendere troppo tempo affinché il pane fosse pronto, andando a dormire davvero troppo tardi. Pertanto, seppur in anticipo rispetto alla tabella di marcia indicata, ho provveduto ad aggiungere gli ingredienti ulteriori andando comunque a letto all'una di notte.
La seconda volta, trascorse 5 ore, la biga non solo era lievitata ma aveva cominciato a seccarsi in superficie e dunque l'ho immediatamente reimpastata secondo le indicazioni.
b) Per la seconda fase di lievitazione il problema è costituito dalla scatola in plastica. La mia, evidentemente, è troppo grande: non solo non ha i lati di 12 cm ma ha una capienza di 3,5 l. Se avessi dovuto attendere la lievitazione dell'impasto sino al raggiungimento del coperchio avrei dovuto attardarmi per la seconda volta. Dopo 3 ore (e non 2) il pane aveva raggiunto i 4/5 dell'altezza del contenitore, per cui ho deciso di dichiararmi soddisfatta e mi sono apprestata a svolgere le ultime operazioni che precedono la messa in forno.
c) Ancora oggi ho fatto un giro in un negozio ben fornito per vedere se trovavo una scatola quadrata della capienza richiesta da P. Hollywood ma non l'ho trovata. Sono giunta alla conclusione che potrei impastare due pani separati mettendoli a lievitare all'interno di  due scatole quadrate (ma mi viene da pensare che, a questo punto, anche la forma rettangolare potrebbe andar bene) della capienza di 1,5 l ciascuna. Quelle ci sono, ...le ho viste!!!
d) Scatola a parte, questo pane è buonissimo e lo farò per offrirlo ad alcuni colleghi d'ufficio invitati a cena. Non fatevi fuorviare dai miei "lamenti", non formalizzatevi: l'importante è che vi sia una lunga lievitazione dentro ad un contenitore quadrato con coperchio in plastica, per le ragioni sopra segnalate.
Una ricetta ottima. 
 
Già che ci sono e dopo tanto impegno, con questa ricetta partecipo allo Starbooks redone

REDONE
 

 
 
 
 
 


mercoledì 5 febbraio 2014

Ri-scocca l'Ora del...Patè di peperoni gialli


A pensarci bene l'ora del patè con i peperoni gialli non sarebbe ancora scoccata attesa la stagionalità di questa verdura tipicamente estiva, tuttavia l'evento previsto a Milano per il giorno 10 febbraio p.v., ci ricorda che

 
l'Ora del Patè, scoccata a dicembre 2013, è rimasta inalterata ed inossidabile nella sua  indubbia resistenza sul mercato dei libri di cucina tanto da costringere la casa editrice SAGEP alla ristampa.
A tal punto non mi resta che invitare ogni milanese, lettore del mio blog, a passare dalla libreria Mondadori di P.zza del Duomo a Milano per la presentazione di questo che è solo il primo volume della collana dei Libri dell'MTChallenge.
Una presentazione di gran classe che vede la partecipazione di Paolo Massobrio (giornalista enogastronomico) e di Daniela Lucisano (direttore della rivista A Tavola) oltre, ovviamente, a quella della curatrice del libro ed ideatrice dell'MTChallenge, Alessandra Gennaro.


E' vero, dicevo, che non sarebbe l'ora di un patè ai peperoni gialli ma l'idea tratta dal libro era così carina e colorata che non ho potuto fare a meno di acquistare i miei peperoni e proporne una ciotolina introduttiva ad un pranzo assolutamente informale tra parenti.
Ciotolina nel mezzo, crostini di pane alla birra, qualche acciughina sotto sale ben sciacquata e sgocciolata ed alcuni bocconcini di formaggio.
Ecco un'idea semplice e allegra.
 
Patè di peperoni gialli

Ingredienti:
2 peperoni gialli
2 cucchiai di olio EVO
2 foglie di alloro
50 g formaggio cremoso
25 g burro morbido a tocchetti
pepe bianco macinato all'istante
sale

Lavare i peperoni ed arrostirli sotto il grill del forno o nel microonde, privandoli poi della pelle, dei semi e dei filamenti bianchi.
Lasciarli riposare in frigorifero per qualche ora affinché perdano il loro liquido. Trascorso il tempo necessario, tamponarli con carta assorbente, tagliarli a listarelle e rosolarli con olio e alloro per una decina di minuti. Aggiustare di sale e di pepe.
Eliminato l'alloro, passare i peperoni al frullatore ed una volta ottenuto un composto omogeneo amalgamarvi il burro ed il formaggio sino ad ottenere una crema liscia e cremosa.
Trasferire il patè in una ciotola e tenerlo in frigorifero sino a dieci minuti prima di servirlo.

Consiglio utile tratto dall'Ora del Patè: nell'arrostire i peperoni è necessario far sempre attenzione a che la parte esposta direttamente al calore abbrustolisca senza briciare il che significa controllare spesso e maneggiare con cura onde non scottarsi le dita. E' però fondamentale che tutte le parti del peperone siano cotte, anche quelle più nascoste. per questo sarebbe necessario utilizzare una pinza da cucina o attrezzi simili, per girare i peperoni senza  troppi rischi.
Una volta che la loro pelle è raggrinzita e a tratti abbrustolita ed il peperone ha perso la sua caratteristica durezza, è consigliabile lasciarlo riposare dieci minuti dentro ad un sacchetto di carta (quelli per il pane sono perfetti) o in quelli che si utilizzano per conservare gli alimenti in freezer ben chiuso: si creerà così un ambiente umido che faciliterà ulteriormente l'operazione  della spellatura.
La pelle va tolta con le mani, i semi, i filamenti e la parte verde, invece, si eliminano con un coltellino affilato.