martedì 31 marzo 2015

Pappa al pomodoro ovvero...la pappa fritta


Ah...beh...con questa "idea" avrei dovuto partecipare da un contest proposto dalla Mediterranea Belfiore (www.mediterraneabelfiore.it).
Si trattava di un invito a rivisitare la Pappa al pomodoro, ovvero ad utilizzare la sua consistenza per trovare altre utilizzazioni di quella medesima tecnica.
Purtroppo non sono riuscita a partecipare perchè...il termine mi è sfuggito; è scaduto ed io non ho potuto mettermi a confronto con altri partecipanti.
Questo mese, infatti, mi ha vista impegnata su vari fronti, soprattutto lavorativi. Inoltre, relegata come è, nei fine settimana, la mia passione culinaria mal si accorda con week end trascorsi fuori casa o occupati da qualche altra attività.
Insomma, alla fine non ho trovato nè il tempo, nè la concentrazione per cucinare la Pappa al pomodoro, piatto della tradizione toscana.
Ne consegue che ogni rivisitazione possa suscitare  sussulti scomposti in coloro che strenuamente difendono....la "tradizione". 
Eppure la lettura di un libro di Massimo Montanari, docente di Storia medievale e Storia dell'Alimentazione all'Università di Bologna, mi ha fatto molto riflettere sul significato di "tradizione" nella cucina.
Gli studiosi concordano, infatti, nell'affermare che tali e tante sono le stratificazioni culturali e storiche che si sono accumulate nella cucina c.d. regionale che, anche in passato, nulla di certo vi è mai stato nella descrizione di una ricetta.
La stessa ricetta, infatti, passando di regione in regione, subiva modifiche conseguenti tanto alla diversità degli ingredienti reperibili, quanto alla cultura locale. Di passaggio in passaggio, di mano di massaia, in mano di altra massaia,  quelle  medesime indicazioni si adattavano alle circostanze ed ai luoghi, attribuendo sfaccettature nuove ad una vivanda che andava inesorabilmente animandosi con caratteristiche autonome sebbene, al contempo, continuasse a fregiarsi della qualità di "tradizionale".
Ma dove stava la tradizione? In Toscana piuttosto che in Umbria?. In Piemonte, piuttosto che in Liguria? In casa di Tizio piuttosto che in casa di Caio, dove magari era passato un  cuoco che aveva attribuito il proprio volto a quel piatto?
Insomma - dice Montanari - la ricerca storica insegna l'impossibilità di certezze riguardanti l'originalità di una ricetta e questo vale, a maggior ragione, ai nostri giorni, laddove le tecniche di realizzazione, frutto della diversità degli strumenti e dei materiali con i quali sono costruiti, attribuiscono al piatto una consistenza inevitabilmente "non originale".
Persino i singoli ingredienti, pur conservando il medesimo nome, non sono più gli stessi: il trascorrere del tempo, unito alle diverse tecniche di coltivazione, hanno attribuito loro un diverso sapore.
Il nostro stesso substrato culturale non ci consentirebbe di apprezzare, con la medesima emozione sensoriale, un piatto realizzato con le modalità e con gli ingredienti dell'epoca.
Potremmo, al limite, comprendere in maniera del tutto razionale, che si tratta di una cucina di altra epoca, ma non saremmo in grado di apprezzarla emotivamente allo stesso modo dei nostri antenati.
Come afferma un testo italiano del trecento: "Per queste cose che dette sono (n.d.r. con riferimento ad una ricetta), il discreto cuoco potrà in tutte le cose essere dotto, secondo la diversità dei regni e potrà mangiari variare o colorare secondo che a lui parrà"
Insomma, le pagine sin qui compendiate e tratte dal libro di Massimo Montanari, "Il cibo come cultura", mi ha tolto le remore che sempre avvertivo di fronte alla rivisitazione di piatti regionali di tradizione ed al tempo stesso mi ha offerto una maggiore disponibilità alle sperimentazioni culinarie e sensoriali proposte da alcuni chef dei giorni nostri. 
Detto questo, non penso affatto che le ricette c.d. di tradizione, vadano dimenticate. Ci sono sapori e profumi che ci emozionano perchè appartengono alla nostra infanzia ed è giusto mantenere in vita certi piatti sin quando potranno ancora vivere ed essere apprezzati, ma non facciamoci illusioni: il tempo li modificherà oppure non verranno apprezzati ulteriormente.
Io sono per una cucina su doppio binario: quella a noi familiare e quella che la rivisita proponendoci alternative e novità. Il tutto senza guerre e barricate di frontiera.
E' per questo che  mi sono decisa ad accettare la sfida di una rivisitazione della "mitica" Pappa al pomodoro, nonostante la mia rielaborazione possa considerarsi di entità assai limitata: mi sono, infatti, mantenuta su sapori assolutamente classici anche se non proprio da Pappa.
Composto come è da pomodoro e pane, la stagionalità di questo piatto sarebbe quella estiva; individuata, tuttavia, una conserva di buona qualità, la sua realizzazione può offrire soddisfazioni in ogni momento dell'anno.
Ho dunque "creato" queste "pallotte" di pappa, come aperitivo e l'idea mi è venuta perchè mi diverte enormemente trovare soluzioni che consentano di "mangiare con le mani", cibi per i quali si è sempre dato per scontato, l'uso di una forchetta o di un cucchiaio, come in questo caso ;-) 

"Pappa" fritta (per 12 "pallotte")
Ingredienti:
Per la pappa al pomodoro
200 g di polpa di pomodoro in scatola
60 g di pane toscano raffermo (senza crosta)
70 g di brodo vegetale
2 filetti di acciuga sotto sale
1 spicchio di aglio
1 cucchiaio di capperi sotto sale
1 limone
origano
tabasco 
sale
pepe
olio extravergine di oliva


Dissalate i filetti di acciuga e pulite l'aglio.
Scaldate l'olio all'interno di una pentola in ghisa, oppure di coccio o, quanto meno, dal fondo spesso e fatevi soffriggere l'aglio, sciogliendovi al contempo uno o due filetti di acciuga.
Quando l'aglio comincia a friggere, toglietelo e versate in pentola la polpa di pomodoro. Salate leggermente (da ricordare che le acciughe sono salate) e, abbassata la fiamma, lasciate che la salsa si addensi.
Nel frattempo scaldate il brodo.
Quando la polpa si sarà addensata, versate in  pentola il pane raffermo mescolando per amalgamarlo al pomodoro. Unite il brodo e lasciate cuocere a fiamma bassa sin quando non compare una leggera "pellicola". Verso la fine della cottura, regolate il sale ed eventualmente anche il pepe.
La pappa è pronta! Raccoglietela in un contenitore e quando al temperatura sarà scesa, chiudete il contenitore e riponete tutto in frigorifero per una notte intera in modo che la pappa si stabilizzi ed addensi ulteriormente.
Il giorno dopo, tritate i capperi e mischiateli alla pappa, insaporendo anche con un pizzico di origano, una goccia di tabasco e qualche goccia di limone.
Riponete ancora in frigorifero per una decina di minuti o sin quando non siete pronti per procedere alla impanatura e frittura.
Preparate gli ingredienti utili ad impanare secondo le indicazioni sottostanti*.

Per impanare e friggere*
2  albumi d'uovo (medio)
40 g di farina 00
sale
pepe
pane grattato
olio di arachide**

Separate il tuorlo dall'albume e con l'aiuto di una forchetta, sbattetelo leggermente.
Appena è slegato, aggiungete la farina formando una pastella piuttosto consistente.
Con le mani leggermente inumidite prelevate un poco di impasto (pappa) e formate delle palline della grandezza di quelle utilizzate per giocare a golf. Passatele nella pastella densa di albume e farina e, successivamente, nel pane grattugiato.
Nel frattempo, all'interno di un tegame dai bordi alti, portate l'olio alla temperatura idonea a friggere e, quindi, tuffatevi le palline di pappa al pomodoro.
Una volta ben dorate, scolatele dall'olio e ponetele per qualche minuto su una carta assorbente,
Servitele calde o tiepide. In quest'ultimo caso potranno anche essere utilizzate quale aperitivo.

n.d.r.: 
a) ** poichè l'obiettivo finale è quello di ottenere un alimento croccante e che abbia mantenuto la morbidezza interna . è necessario friggere ad una temperatura che si mantenga tra i 160° ed il 180 ° C. 
Sotto questo punto di vista l'olio più idoneo è quello di arachide ma se vi fossero intolleranze, l'unico sostituto plausibile è quello extravergine.
b) Premesso che le modalità per cucinare una Pappa al pomodoro in versione "originale", sono quelle che avete letto sopra (con esclusione dell'uso del frigorifero dappoichè la Pappa si mangia  calda o a temperatura ambiente), questi sono gli ingredienti classici:
pomodori (con o senza pelle - decidete voi) 
pane toscano raffermo (con o senza crosta - decidete voi)
aglio (in abbondanza)
una decina di foglie di basilico
peperoncino
olio 
sale
Soffritto l'aglio insieme al peperoncino e fatte appassire le foglie di basilico, si unisce il pomodoro a pezzi ed una volta addensata la salsa, vi si incorpora il pane lasciando sobbollire sino al quando si forma una "pellicola".
c) come modalità di impanatura ho pensato di seguire quella utilizzata per il "gelato fritto".






venerdì 20 marzo 2015

Merluzzo in torta per l'MTC n. 46 - marzo 2015


E andiamo di torta salata sebbene in casa nostra non abbia mai avuto un grande seguito, ma se si tratta di imparare una brisée buona, ma veramente buona, vale la pena di sviare dalle abitudini.
A dir la verità è da tempo che sto cercando di "collocare" questo ..."condimento" che io, per l'occasione, ho trasformato in ripieno.
Togliendo l'albume necessario per rassodarlo, gli ingredienti possono, con successo, essere utilizzati anche per condire dei tagliolini di grano duro o dei pici
Con questo condimento, infatti, tempo fa preparai un primo piatto per una cena a casa di amici e solo perchè non amo "fermare il mondo" per fotografare ciò che cucino, che quel piatto di pasta non finì sulle pagine di questo blog.
Insomma, escluso che il merluzzo potesse essere utilizzato per partecipare a Tipi da Pici, ho pensato che pomodori, miele e merluzzo, potessero essere utilizzati per realizzare una quiche o una torta salata con la brisée del Maestro Michel Roux secondo la proposta di Flavia per l'MTC n. 46 del mese di Marzo.
Per il ripieno di questa torta, dunque, mi sono ispirata al condimento dei pici che ho assaggiato l'estate scorsa alla Locanda di Torquato che si Montorgiali, il "paesino piccino picciò" del quale ho parlato qui.
Un locale delizioso e curato dal quale, in estate, si gode una vista che incanta.
Il sole che al tramonto inonda la campagna toscana, in quel periodo dell'anno caratterizzata quasi esclusivamente dai filari che produrranno il Morellino e dal colore "terra di Siena" del terreno dissodato, è l'immagine che penso accompagnerà la mia vecchiaia quando l'incanto cesserà.
Al condimento di quei pici, dunque, dal sapore piacevolmente innovato con grazia, è ispirato il ripieno di questa torta che affascina per il suo sapore di mare.

Merluzzo in torta  (per una teglia da 20 cm)

Per la Brisée di Michel Roux
Ingredienti (dose per una teglia da 24 cm)

250 g di farina
150 g di burro, tagliato a pezzettini e leggermente ammorbidito
1 cucchiaino di sale
Un pizzico di zucchero
1 uovo
1 cucchiaio di latte freddo



Versate nel mixer la farina, il burro tagliato a pezzettini, il sale e lo zucchero. Azionate l'apparecchio un paio di volte con la funzione pulse sino al ottenere un briciolame di farina e burro.
Unite l’uovo ed il latte.ed azionate nuovamente. 
A questo punto versate l'intero contenuto del recipiente sul piano di lavoro e, operando velocemente, assemblate il composto ottenuto.
Nel caso di difficoltà unire ancora qualche goccia di latte ma la sorpresa sarà proprio quella di vedere la palla di impasto formarsi sotto le vostre dita in maniera quasi "miracolosa" ;-)
Quando l'insieme risulterà liscio, avvolgete la palla nella pellicola e, prima di riporla in frigorifero per alcune ore, schiacciatela in modo che da renderla maggiormente maneggevole all'atto della stesura.
La Pasta Brisée si conserva benissimo in un contenitore a chiusura ermetica, per una settimana in frigo e fino a tre mesi in freezer.
Estraete la brisée dal frigorifero e lasciatela riposare affinchè si ammorbidisca leggermente, divenendo lavorabile. Appoggiatela sul piano di lavoro ricoperto da carta forno e copritela a sua volta, con altro foglio di carta.
Con l'aiuto del mattarello, cominciate ora a stendere il disco di impasto girandolo, di volta in volta, di 90° per ottenere un disco della larghezza della teglia aumentato di 5 cm. circa.
Non lavorate troppo a lungo, onde evitare che la brisée si surriscaldi.
Arrotolate la brisée sul mattarello ed adagiatela con delicatezza e morbidamente nella teglia. Aiutandovi con un pezzettino di impasto fatela aderire al fondo ed al bordo e, quindi, rifilate quest'ultimo premendo con il mattarello. Bucherellare il fondo con i rebbi di una forchetta e riporre la teglia in frigorifero sino all'uso.

Per il ripieno (dose per una teglia da 20 cm)

250 g di filetti di merluzzo
10-12 pomodori Piccadilly
1 mazzetto di rucola
1 cucchiaino di miele
buccia di 1/2 limone
1 spicchio di aglio
sale
pepe bianco
50 g di albume

Preriscaldate il forno a 180° C.
Estraete dal frigorifero la teglia con la briseé e coperto il fondo con carta forno, riempite il guscio con fagioli o riso o pesi in ceramica.
Introdurre la teglia in forno per 15 - 20 min., quindi eliminate i pesi e reintroducetela  in forno per altri 5 min. 
Tagliate, grossolanamente al coltello, i filetti di merluzzo e dividete 6 pomodori, in 2-4 pezzi, a seconda della loro grandezza.
Mettete a scaldare una padella. Quando il fondo è caldo, abbassare la fiamma ed unite l'olio e lo spicchio di aglio facendolo rosolare lentamente.
Togliete l'aglio dalla padella e versatevi i pomodori tagliati, aggiungete il miele, una leggera spolverata di buccia tritata del limone, il sale ed il pepe.
Aggiungete, se ritenuto opportuno per non far seccare troppo il fondo di cottura, anche un cucchiaio di acqua.
Quando i pomodori sono appassiti, versate in padella la polpa di merluzzo sino a renderla di colore bianco. 
Versate il composto in una ciotola e quindi gli albumi precedentemente slegati. Mescolate ed aggiustate il sapore con sale e pepe se ritenuto opportuno.
Riempite con il composto di merluzzo ed albumi il guscio già parzialmente precotto, decorate la torta con alcuni pomodori tagliati a metà e spolverizzatelo con alcune foglie di rucola grossolanamente tritate.
Infornate sino a quando il composto sarà divenuto bianco avendo perso la trasparenza liquida data dall'albume. 

N.d.r.: il mio forno, quel giorno aveva una temperatura che oscillava attorno ai 170°-180° C
Dopo aver riempito il guscio, ho introdotta la torta in forno, coperta da un foglio di alluminio.
Ho provveduto ad eliminare quest'ultimo solo quando ho percepito la quasi completa cottura del ripieno, essendo rimasto un leggero residuo liquido al centro. 
A quel punto ho lasciato in forno per 5 min. ulteriori.
Complessivamente il ripieno ha cotto per circa 50 min.

Con questa ricetta partecipi all'MTC del mese di Marzo 2015











mercoledì 18 marzo 2015

Tipi da.... pici e coniglio al caffè



I sapori della cucina toscana sono sapori schietti, forti, ben delineati, un po' come il carattere dei contadini toscani: sorridenti e bruschi allo stesso tempo, privi di infingimenti, pronti a cogliere il lato ironico del quotidiano anche di fronte al dolore.

La cucina toscana si identifica, infatti, con i piatti della tradizione contadina fatta di materie prime fresche e mai troppo elaborate.

E' questa la ragione per la quale non è affatto semplice rispondere al contest TIPI DA PICI proposto da Regione Toscana, Comune e CCIAA di Siena, al quale si è aggiunta l'AIFB (Associazione Italiana Food Blogger) in qualità di partner.

Il tema: i pici.
Un tipo di pasta fatta a mano, simile agli spaghetti dei quali ho già avuto modo di parlare qui
Sono tipici della Toscana del Sud (provincia di Grosseto e Siena) ma si trovano anche in Umbria con il nome di "stringozzi" o "strangozzi".
Si impastano semplicemente con acqua e farina e vengono tradizionalmente conditi con briciole di pane fritto ed acciughe, oppure con "l'aglione" (un sugo di pomodoro e aglio), o con ragù di anatra o cacciagione.
E' quest'ultimo il tipo di condimento che ha risvegliato i miei ricordi, con l'immagine del...coniglio,
Ho rivisto le "conigliere" dei contadini quando, bambini, andavamo a comprare formaggio o ortaggi in qualche fattoria; i piatti di coniglio fritto il cui sapore inconfondibile ed oggi non più sperimetabile, allietava tavola dei miei bisnonni nei giorni di festa; il coniglio in umido; il coniglio quale componente, tra i vari tagli di animali da cortile, di quel piatto magnifico che è la "scottiglia".
Il coniglio: quanto di più semplice possa esistere in Toscana, declinato in mille modi. 
Del coniglio ho voluto servirmi anch'io insaporendolo con la "guanciola" che non è una semplice pancetta ma è quel pezzo meraviglioso del maiale che offre il suo contributo unico e preziosissimo anche per la realizzazione di un piatto laziale, quale la pasta all'amatriciana.
Ecco, ho fatto una cosa nuova: ho cucinato il coniglio con il caffè.Il caffè è in grado di attribuire un sapore nuovo ad ingredienti di tradizione ed io l'ho utilizzato sia per impastare i pici, che per il condimento.
Ed ecco allora la mia proposta

Pici e coniglio al caffè


Impasto dei pici - Ingredienti (per 2-3 persone)
150 g di farina 00
75 g di semola rimacinata
60 ml di caffè moka
60 ml di acqua
1 cucchiaio di olio
sale

Ragù di coniglio al caffè - Ingredienti
g 350 di lombo coniglio
g 100 di guanciola di maiale
1 tazzina di caffè moka
120 ml brodo vegetale
2 carote
1/2 costa di sedano
1 scalogno grande
timo
scorza mezzo limone
olio
sale
pepe
farina
prezzemolo

Setacciate le farine e mescolatevi un pizzico di sale.
Formate una fontana ed all'interno versate il caffè tiepido ed il cucchiaio di olio.
Impastate aggiungendo l'acqua necessaria; nel mio caso ne è servita circa 60 ml.
Formate una palla liscia ed elastica e, dopo averla avvolta nella pellicola, lasciatela riposare minimo 30 min.
Ripreso l'impasto, staccarne piccoli quantitativi, formando un salsicciotto della dimensione di un dito e, quindi, rotolando la pasta sul piano di lavoro, allungare poco a poco il salsicciotto sino ad ottenere un lungo spaghettone


Infarinate i pezzi di coniglio. Tritate mezza carota. il sedano e lo scalogno
Fate rosolare la guanciola a fuoco bassissimo all'interno di una pentola dal fondo spesso o meglio di una pentola in ghisa o terracotta.
Nel frattempo scaldate una padella. Aggiungere olio e rosolate lentamente il trito di verdure. Sfumate con un goccio di caffè
Quando il grasso della guanciola sarà divenuto trasparente, alzate la fiamma e ponete all'interno della pentola i pezzi di coniglio facendoli rosolare da tutti i lati sin quando siano divenuti di colore bianco.
Aggiungete anche le verdure.
Mescolate, versate il caffè, 60 ml di brodo, un pizzico di timo, la buccia grattugiata del limone e fate cuocere a fuoco bassissimo per circa 1 ora.
Durante la cottura aggiungete brodo se ritenuto necessario tenendo presente che al termine la carne non dovrà risultare asciutta in quanto il liquido venutosi a formare sarà utile per condire la pasta.
Quando il coniglio è morbido, ritirate la pentola dal fuoco, a staccate la carne dalle ossa sminuzzandola al coltello.
Rimettete la polpa in pentola, aggiungete le carote tagliate a fettine.
Continuate la cottura sino a che le carote non siano morbide (ma non troppo), aiutandovi con il resto del brodo.
Cuocere i pici in acqua bollente per 4 min. circa e condirli con il ragù ed una leggera spolverata di
prezzemolo che ha scopo, più che altro, decorativo.


Il caffè attribuisce una sapore davvero particolare, con equilibrata eleganza  :-)








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